Dal conflitto alla co-creazione: analisi di un percorso di mediazione riparativa familiare in chiave umanistica
- retedefacto
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1. Introduzione teorica
La mediazione riparativa, nella prospettiva umanistica contemporanea, si configura come uno spazio relazionale volto non tanto alla risoluzione di un conflitto quanto alla rigenerazione del legame che lo attraversa.Come sottolinea Howard Zehr (2002), la giustizia riparativa nasce dal bisogno di “ricostruire ciò che è stato infranto” restituendo voce, emozione e responsabilità condivisa alle persone coinvolte.Nell’ambito familiare, tale processo assume un valore pedagogico profondo, poiché consente di trasformare il conflitto in occasione di apprendimento relazionale.
L’approccio umanistico alla mediazione, sviluppato in Italia da Marco Ferrari con il Metodo Medianos (2017) e ripreso dal Centro di Mediazione Umanistica di Leonardo Lenzi (2021), affonda le sue radici nella psicologia della persona di Carl Rogers (1961) e nella filosofia dialogica di Martin Buber.La mediazione non è dunque una “tecnica negoziale”, ma un processo di riconoscimento reciproco in cui le emozioni — paura, rabbia, tristezza, desiderio — diventano strumenti di conoscenza.
In tale contesto, la giustizia riparativa familiare si distingue radicalmente dalle pratiche negoziali di tipo utilitaristico: mentre la negoziazione commerciale tende a operare sugli interessi e sugli obiettivi di profitto, la mediazione riparativa lavora sui bisogni relazionali profondi (Lederach, 1995; Pranis, 2005).L’obiettivo non è “vincere” o “trovare un compromesso”, ma promuovere un processo trasformativo, nel quale la relazione possa auto-rigenerarsi attraverso ascolto empatico e co-costruzione di senso.
2. Metodologia e cornice esperienziale
La simulazione qui presentata si ispira ai principi della mediazione e alla tradizione della giustizia riparativa relazionale.Essa mette in scena un percorso familiare articolato in due sessioni di mediazione, finalizzato a esplorare la possibilità di conciliare libertà educativa, responsabilità genitoriale e coerenza valoriale.
I principi metodologici che guidano la mediazione sono:
Ascolto empatico: la parola di ciascuno è accolta come espressione di un vissuto, non come argomento da confutare.
Riconoscimento reciproco: la relazione si ricostruisce quando ciascuno si sente visto e compreso.
Trasformazione del conflitto: l’obiettivo non è l’accordo immediato, ma la riapertura del dialogo.
Autopoiesi relazionale: il sistema familiare è considerato un organismo vivente, capace di rigenerarsi attraverso la comunicazione affettiva (Morin, 2001).
3. Simulazione di mediazione familiare
3.1. La situazione conflittuale
Una coppia di genitori, Anna e Roberto, vive un intenso conflitto con il figlio quattordicenne Tommaso, che rifiuta di frequentare la scuola tradizionale e propone di passare all’educazione parentale.I genitori, pur riconoscendo la sensibilità del figlio, temono di comprometterne il futuro scolastico e sociale.La famiglia si rivolge a un centro di mediazione umanistica per ritrovare dialogo e comprensione.
3.2. Prima sessione – Il riconoscimento emotivo
La mediatrice apre lo spazio con un’intenzione chiara: non cercare subito una soluzione, ma ascoltare le emozioni che abitano il conflitto.Tommaso esprime il suo disagio per un sistema scolastico percepito come “inutile” e “soffocante”, desiderando “imparare in libertà”.Anna reagisce con dolore (“mi fa male che odi la scuola, che per me è vita”), Roberto con confusione (“capisco suo disagio, ma temo che si isoli”).
La mediatrice riformula le loro parole in chiave empatica, restituendo il nucleo emotivo di ciascuno:
Tommaso cerca autenticità e fiducia;
Anna desidera non perdere il legame;
Roberto aspira a un equilibrio tra libertà e sicurezza.
Nel momento in cui le emozioni vengono riconosciute, la tensione si scioglie.Il conflitto si sposta dal livello dell’“opinione” a quello del sentire condiviso, generando una prima forma di riparazione relazionale.
3.3. Seconda sessione – La co-costruzione del progetto
Nella sessione successiva, la famiglia viene accompagnata a trasformare l’ascolto reciproco in azione consapevole.Attraverso domande maieutiche, la mediatrice facilita la convergenza tra i tre bisogni emersi:
Dall’incontro nasce un progetto di educazione parentale ibrida, che prevede:
attività di studio autonomo e laboratori artistici;
tutoraggio esterno;
creazione di un blog personale di apprendimento come strumento di dialogo.
Il percorso viene simbolicamente concluso con tre parole scelte dai partecipanti:
“Fiducia coraggiosa” (Anna), “Cammino comune” (Roberto), “Libertà responsabile” (Tommaso).
La mediazione si chiude con la redazione di un verbale simbolico, che non sancisce un accordo legale, ma una rinnovata alleanza affettiva.
3.4. Follow-up
A tre mesi dall’incontro, la famiglia ha attivato concretamente il nuovo percorso educativo.Tommaso mostra maggiore entusiasmo e senso di responsabilità; i genitori dichiarano di sentirsi parte di un “cammino condiviso di crescita”.La mediatrice annota nel diario riflessivo:
“La relazione ha imparato a rigenerarsi: il conflitto è diventato la forma attraverso cui la vita familiare si autopromuove.”
4. Riflessione conclusiva
La simulazione descritta illustra come, nella mediazione riparativa, la trasformazione relazionale preceda la decisione pratica.Solo quando le emozioni sono riconosciute e accolte, la famiglia può generare soluzioni coerenti con i propri valori.
Rispetto alle tecniche di negoziazione tradizionali, la mediazione umanistica:
non separa razionalità ed emozione, ma le integra;
non lavora sull’interesse, ma sulla risonanza emotiva (Ferrari, 2017);
non mira alla vittoria di una parte, ma alla riconciliazione del sistema relazionale (Lenzi, 2021).
Il processo può essere letto, in termini sistemici, come un processo autopoietico (Maturana & Varela, 1980): la relazione, ferita dal conflitto, produce le proprie condizioni di guarigione attraverso il linguaggio e l’empatia.Si manifesta così quella che Capra (1996) chiamerebbe la rete della vita, nella quale ogni organismo — anche la famiglia — tende naturalmente alla propria autoregolazione e armonia.
La giustizia riparativa, in questa prospettiva, non è dunque solo una pratica giuridica, ma una pedagogia della relazione, capace di trasformare il dolore in conoscenza e il conflitto in crescita condivisa.
Bibliografia essenziale
Braithwaite, J. (1989). Crime, Shame and Reintegration. Cambridge: Cambridge University Press.
Capra, F. (1996). The Web of Life: A New Scientific Understanding of Living Systems. New York: Anchor Books.
Christie, N. (1977). “Conflicts as Property.” The British Journal of Criminology, 17(1), 1–15.
Ferrari, M. (2017). Il Metodo Medianos. La mediazione dei conflitti centrata sulla persona. Milano: FrancoAngeli.
Ferrari, M., & Tosi, A. (a cura di) (2020). La mediazione umanistica in Italia: esperienze, modelli, prospettive.Roma: Carocci.
Lenzi, L. (2021). La mediazione umanistica e il processo di riconciliazione relazionale. Firenze: Centro di Mediazione Umanistica – Edizioni CMU.
Lederach, J. P. (1995). Preparing for Peace: Conflict Transformation Across Cultures. Syracuse, NY: Syracuse University Press.
Maturana, H., & Varela, F. (1980). Autopoiesis and Cognition: The Realization of the Living. Dordrecht: Reidel.
Morin, E. (2001). La Méthode, 6. Éthique. Paris: Seuil.
Rogers, C. (1961). On Becoming a Person: A Therapist’s View of Psychotherapy. Boston: Houghton Mifflin.
Zehr, H. (2002). The Little Book of Restorative Justice. Intercourse, PA: Good Books.



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