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“Figlie di Lady Oscar, figli di Mazinga”

E' già di per sé un manifesto generazionale: unisce due immaginari – quello della bambina che sfida la Bastiglia e quello del ragazzo che pilota un robot tra le stelle – per raccontare la stessa epopea emotiva: la costruzione di sé attraverso i miti animati.


C’erano pomeriggi, negli anni ’80, in cui tutta l’Italia si fermava.Le madri sparecchiavano, i padri leggevano il giornale, e i bambini – maschi e femmine – prendevano posto davanti alla televisione.Sul vetro del tubo catodico non c’erano influencer, reality o tutorial: c’erano rivoluzioni, orfanotrofi, astronavi e campi da calcio che sfidavano la curvatura terrestre.

Lì, in quei pomeriggi incantati, una generazione imparava come si ama, come si soffre, come si resiste.Le bambine guardavano Lady Oscar o Candy Candy, i maschi Mazinga o L’Uomo Tigre, ma la verità è che stavano imparando la stessa cosa da strade opposte:che crescere significa scegliere se combattere o sopportare, se piangere o colpire, se salvare o salvarsi.


Due educazioni, un solo schermo

Le figlie di Lady Oscar e i figli di Mazinga non si sono mai parlati davvero, ma abitavano lo stesso immaginario: quello di un’Italia sospesa tra la fine dell’infanzia e la promessa della modernità.Era un Paese che non aveva ancora inventato la parola “gender”, ma che la praticava inconsapevolmente ogni giorno davanti alla TV.

Le bambine imparavano che la libertà era una sfida personale, che il dolore si poteva sublimare in dignità.I maschi, che la forza era dovere, che la fatica era redenzione.Eppure, sotto la superficie, entrambi imparavano l’etica del sacrificio, quella pedagogia della resistenza che ha formato l’attuale generazione dei cinquantenni italiani.

Umberto Eco, in Apocalittici e integrati, parlava della “formazione inconsapevole” prodotta dai media di massa: non un insegnamento diretto, ma una sedimentazione di simboli.E così, senza che nessuno se ne accorgesse, milioni di bambini hanno imparato a interpretare la vita come una battaglia epica, anche quando si trattava solo di crescere.


Il duello e la missione

Lady Oscar combatteva con la spada; Actarus con il raggio fotonico.Lei difendeva la libertà degli uomini, lui la Terra. Entrambi combattevano per un ideale più grande di loro, e in entrambi covava una malinconia che nessuna vittoria poteva guarire.

Lei moriva con fierezza, lui volava via in silenzio.Due archetipi della solitudine eroica, così simili eppure attribuiti a generi diversi.

Nelle femmine, la solitudine era introspezione; nei maschi, missione.Ma il risultato era identico: la rinuncia.Una generazione intera è cresciuta imparando che amare significa soffrire, che riuscire significa perdersi, che chi è forte non chiede aiuto.

È la lezione più antica della cultura mediterranea: l’eroe e la martire, due facce della stessa croce.Roland Barthes lo avrebbe chiamato “mitologia della purezza”: il culto della dedizione totale, in cui la vittoria è moralmente sospetta e la sconfitta un segno di autenticità.


Candy perdona, l’Uomo Tigre incassa

In fondo, anche Candy Candy e l’Uomo Tigre raccontavano la stessa fiaba morale, declinata al femminile e al maschile.Lei non smetteva mai di amare, lui non smetteva mai di combattere.Lei diceva “non importa se mi spezzo il cuore”, lui diceva “non importa se mi spezzo le ossa”.Due educazioni emotive gemelle, ma speculari: la donna come ferita che perdona, l’uomo come ferita che tace.

La psicologa Susan Faludi, in Stiffed: The Betrayal of the American Man, scrive che “la società moderna ha insegnato agli uomini a essere invulnerabili, ma non a essere vivi”.In Italia, quella lezione arrivò in formato anime.E oggi ne vediamo ancora gli effetti: donne che sopportano troppo e uomini che non sanno chiedere aiuto.Tutti, indistintamente, figli di una pedagogia televisiva fatta di duelli e di addii.


Pollon e Lupin: il sorriso come ribellione

Ma non tutto era sacrificio.C’erano anche gli anarchici della leggerezza: Pollon e Lupin III.Lei rideva del potere, lui lo derubava. Entrambi, a modo loro, sovvertivano l’ordine.

Pollon insegnava alle bambine che si può sbagliare e ridere di sé.Lupin insegnava ai maschi che si può fallire con stile.Due icone del “post-eroismo”, anticipatrici di una generazione che avrebbe cominciato a smontare i miti virili e femminili precedenti.Come direbbe il sociologo Zygmunt Bauman, è l’inizio dell’“uomo liquido” e della “donna fluida”: ironici, consapevoli, disillusi, ma ancora in cerca di una forma.


Lamù e Goldrake: l’eros e la distanza

Quando comparvero Lamù e Goldrake, la partita si fece cosmica.Lamù, aliena desiderante e fiera, esplodeva in un erotismo nuovo: non oggetto, ma soggetto del desiderio.Goldrake, principe malinconico, incarnava il maschio romantico che ama da lontano, schiacciato dal proprio destino.

Tra i due c’era un filo invisibile: la distanza come forma di amore.Lei fulminava, lui fuggiva.Due archetipi perfetti dell’adulto contemporaneo: lei che non si lascia spiegare, lui che non riesce a fermarsi.Un equilibrio impossibile, destinato a rincorrersi per sempre tra la terra e le stelle.


La generazione dei forti stanchi

Oggi, quei bambini e bambine sono adulti.Hanno cinquant’anni, un lavoro, forse dei figli, e una stanchezza che non sanno nominare.Sono quelli che resistono a tutto, ma non sanno riposarsi.Che amano fino allo sfinimento, ma non chiedono mai reciprocità.Che confondono la dignità con la chiusura, la libertà con la fuga.

Eppure, dentro di loro, i miti di allora continuano a vivere:Lady Oscar che affronta il destino con lo sguardo dritto, Mazinga che si rialza dal cratere fumante, Candy che perdona, l’Uomo Tigre che tace, Lamù che ride, Lupin che scappa.Un pantheon di simboli che oggi, riletto con tenerezza, racconta la nostra identità emotiva collettiva: l’Italia che non ha mai smesso di cercare un equilibrio tra forza e dolcezza, tra coraggio e fragilità.


Oltre l’eroe e la martire

Forse, il vero passaggio generazionale non sarà tra analogico e digitale, ma tra eroismo e vulnerabilità.Imparare a dire “ho paura” sarà l’equivalente del “raggio fotonico” di un tempo.

Chiedere scusa, il nuovo “pugno di Mazinga”.

Ammettere di essere stanchi, il gesto più rivoluzionario possibile dopo secoli di posture.

Perché Lady Oscar e Mazinga, oggi, non combatterebbero più.

Si guarderebbero negli occhi e direbbero, con voce calma:

“Abbiamo fatto il possibile. Ora possiamo smettere di essere invincibili.”

Fonti e riferimenti

  • Umberto Eco, Apocalittici e integrati (1964)

  • Roland Barthes, Mitologie (1957)

  • Susan Faludi, Stiffed: The Betrayal of the American Man (1999)

  • Simone de Beauvoir, Il secondo sesso (1949)

  • Zygmunt Bauman, Modernità liquida (2000)

  • Angela McRobbie, Feminism and Youth Culture (1991)

  • Matteo Stefanelli, Anime. Storia del cinema d’animazione giapponese (2010)

  • Go Nagai, Mazinger Z / UFO Robot Grendizer

  • Riyoko Ikeda, Versailles no Bara

  • Rumiko Takahashi, Urusei Yatsura

  • Monkey Punch, Lupin III

 
 
 

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